Lo scopo dello psicoterapeuta non è di produrre uno stato mentale ma di produrre una mobilità mentale che permetta di seguire un percorso nel futuro.
George Kelly
Lo strumento più potente che lo psicoterapeuta e il paziente hanno a disposizione è la relazione che si instaura tra loro. Nello studio dello psicoterapeuta il paziente porta se stesso con le sue modalità di funzionamento quotidiane, alcune delle quali gli provocano sofferenza. Queste possono essere osservate come in un laboratorio, e il paziente può acquisire consapevolezza e sperimentare gradualmente, in un ambiente protetto e ricco di feedback, nuovi stili di pensiero che lo portano progressivamente verso la scoperta di se stesso, di emozioni inespresse, di comportamenti funzionali al suo benessere, al suo equilibrio, alla sua vita affettiva e sociale. Non è certo facile aprirsi di fronte ad un estraneo, e qui riveste un ruolo fondamentale la capacità di ascolto ed empatia del terapeuta, che gli permette di entrare in sintonia con il paziente e farlo sentire da subito compreso e accolto.
La validità dell’approccio Cognitivo Comportamentale è comprovata da molti studi scientifici, che la pongono in prima linea tra le terapie più efficaci e relativamente brevi. Ogni percorso terapeutico vede il paziente come persona unica e irripetibile, con cui definire obiettivi condivisi in vista del superamento della sua sofferenza attraverso un atteggiamento attivo e collaborativo che gli permetterà di diventare, in primo luogo, il terapeuta di se stesso.
L’attenzione è posta sul presente, per individuare e ristrutturare le modalità attraverso cui il paziente mantiene attive le condizioni che determinano la sua sofferenza. Non si tralascia tuttavia l’indagine sul passato, che ha lo scopo di comprendere come si è venuto a determinare lo stato di disagio e di individuare i fattori di vulnerabilità da affrontare nel corso della terapia.
Il percorso della psicoterapia è utile a chi soffre di un vero e proprio disturbo psicologico, ma non solo. Anche chi sta attraversando un momento difficile della vita, una fase critica, o si sente a disagio in certe circostanze trae molto beneficio da un lavoro su di sé, e può trasformare quel disagio in una importante opportunità di crescita. Quindi la mia attività di psicoterapeuta si applica alle seguenti aree tematiche, rispetto alle quali la Terapia Cognitivo Comportamentale si è rivelata molto efficace, risultando per alcune di esse il trattamento di elezione:
Più che un disturbo l’ansia è uno spettro, una famiglia di disturbi: ansia generalizzata, ansia per la salute, fobia sociale, fobie per oggetti o animali, ansia da separazione, disturbo di panico… Lo stato ansioso, a causa dei sintomi fisici plateali che lo caratterizzano, mostra anche ai più scettici quanto il corpo e la psiche siano un’entità unica e indivisibile: sudorazione eccessiva, battito cardiaco accelerato, dolore o fastidio al petto, tremore, disturbi gastrointestinali, ipertensione, difficoltà del sonno, insonnia, senso di soffocamento, tensione muscolare, tic, cefalea, nausea, senso di instabilità, sbandamenti, capogiri, formicolii, senso di intorpidimento… portano tipicamente le persone dal medico, il quale con analisi cliniche e visite specialistiche escluderà qualsiasi patologia organica. Non mancano ovviamente sintomi prettamente psichici: pensieri invasivi di preoccupazione, paura diffusa e irrazionale, idee intrusive e ripetitive, irrequietezza, vuoti di memoria, difficoltà di concentrazione, scarsa autostima, paura di perdere il controllo, senso di irrealtà o di distacco da se stessi, paura di morire. A seconda del tipo di problema, l’ansia può essere costante o venire scatenata da particolari situazioni, ad esempio esami, richieste di prestazioni, eventi sociali, separazione da persone significative, luoghi stretti, o chiusi, o ampi, o affollati. La minaccia, nei disturbi d’ansia, è indefinita, e riguarda eventi non immediati. Può indurre comportamenti di evitamento delle situazioni ansiogene, o la ricerca continua di rassicurazione e di appoggio, o la ricerca spasmodica di informazioni sugli argomenti temuti. Questi comportamenti, insieme ai pensieri e alle emozioni connesse, innescano circoli viziosi che agiscono come fattori di mantenimento del problema.
La visione della vita di un depresso è senza speranza. Il futuro appare come un tunnel senza uscita. La visione del mondo è negativa, la visione di se stessi è molto svalutante, piena di autocritiche e di autoaccuse. La tristezza e la sensazione di perdita dominano la scena, insieme al pianto. Manca la voglia di fare, l’affettività si impoverisce, la vita sociale si contrae. La persona depressa è antipatica a se stessa, è indecisa, pessimista, dipendente, si sente fallita, non prova interesse per nulla. Anche nella depressione i sintomi fisici sono molto presenti, a riprova ancora una volta che siamo un “corpomente”, per dirla con Osho Rajneesh. Compaiono disturbi del sonno, scarso appetito, dimagrimento, senso di spossatezza, lentezza nei movimenti, scarso desiderio sessuale, agitazione. I sintomi tendono a migliorare di sera, come se la conclusione della giornata desse un attimo di tregua alla fatica di vivere, che si riaccende la mattina al risveglio. Ma la depressione è solo uno dei cosiddetti disturbi dell’umore, che presentano diverse intensità e modalità ma si basano su questo modo di pensare, che per alcuni disturbi si alterna con fasi in cui l’umore diventa euforico e irritabile, con manifestazioni psicofisiche coerenti con esso e ugualmente sgradevoli. Secondo la visione di un padre della Psicologia Cognitiva come A.T.Beck, ogni sintomo di questa famiglia di problemi può essere graduato per intensità lungo una dimensione, e le intensità più lievi somigliano a ciò che ad ognuno di noi può capitare a volte di provare quando ci sentiamo un po’ “giù”, mentre all’estremo opposto si arriva anche a desiderare la morte e ad attuare tentativi di suicidio.
Le ossessioni (pensieri ripetitivi e incontrollabili, di contenuto anche molto disturbante) e le compulsioni (comportamenti o azioni mentali rituali, volti a contenere le emozioni negative scaturite dalle ossessioni) sono i sintomi tipici del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC), che può svilupparsi su temi diversi (ad esempio, la paura della contaminazione, o la tendenza ad accumulare oggetti anche inutili e insignificanti, o la superstizione, la mania dell’ordine ecc.) ma presenta caratteristiche tipiche, come la spiccata tendenza al controllo, il senso di responsabilità eccessivo, il senso di colpa. Le persona che soffre di questo disturbo generalmente viene etichettata come “fissata”, “piena di manie”, “pedante”, e le persone che la frequentano tentano invano di convincerla a rinunciare ai rituali, o assecondano le sue richieste di rassicurazione, ma invano. Purtroppo l’Ossessivo Compulsivo è prigioniero di se stesso, sa bene di essere “strano” ma non riesce a uscire dalla sua gabbia se non attraverso il lavoro psicoterapico, che lo aiuta a scoprire e modificare i meccanismi e i circoli viziosi che tengono in piedi il disturbo.
Ognuno di noi ha delle modalità prevalenti nel rapporto con gli altri, con gli eventi, con la vita. Quando questi stili si rivelano inefficaci se ne adottano altri più funzionali. Nelle persone con disturbi di personalità questo non avviene o avviene in minima parte, e questa rigidità provoca sofferenza perché non permette di affrontare efficacemente le varie situazioni, e le relazioni in ogni settore della vita (famiglia, lavoro, amici) diventano problematiche e conflittuali. Queste persone però, tipicamente, non si rendono conto di avere un problema, e attribuiscono agli altri o alle circostanze esterne la responsabilità del loro disagio. Per questo motivo non cercano aiuto, se non per gli aspetti secondari al loro disturbo, ad esempio per l’ansia, l’umore depresso o l’abuso di sostanze. I disturbi di personalità sono classificati in tre gruppi, in base alla prevalenza di comportamenti bizzarri, o di forte emotività, o di forte ansietà e/o inibizione.
Non necessariamente soffriamo di un vero e proprio disturbo psichico quando manifestiamo forte disagio in circostanze molto critiche o davanti a particolari prove: passaggio a nuove fasi della vita come cambiamento di lavoro, pensionamento, nascita di un figlio, fine di un rapporto, lutti, menopausa, malattia. Questi cambiamenti nella vita affettiva, lavorativa, sociale, o nel nostro grado di prestanza fisica, possono provocare sensazioni di vulnerabilità, di incertezza, di mancanza di risorse, che possono farci sentire sopraffatti e incapaci di affrontare lo stress. In questi casi l’aiuto psicologico può essere molto utile nel favorire una rapida ripresa, un recupero della serenità e anche l’acquisizione di nuove capacità.
La bassa autostima, l’insicurezza, la difficoltà a gestire lo stress quotidiano, la timidezza, la tendenza a rimandare, la pigrizia, l’evitamento di attività fisiche, il senso di impotenza e di frustrazione… non è detto che questi siano sempre e solo segnali di un disturbo, anzi spesso non lo sono. In ogni caso, però, si frappongono tra noi e i nostri obiettivi rendendoli molto più difficili. In queste situazioni chiedere aiuto a un professionista vuol dire scoprire di avere risorse che non sapevamo di avere e imparare ad usarle, vuol dire imparare ad accettarsi, sentirsi bene con se stessi, superare blocchi, crescere.